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Con la legge 215/2012 è stato modificato il sistema di elezione dei rappresentanti nei Consigli Comunali, venti anni dopo l’ultimo (importantissimo) cambiamento datato 1993 che prevedeva l’elezione diretta del Sindaco e la preferenza unica per il Consiglio comunale.
Prima di analizzare le modifiche e gli obiettivi della legge 215/2012, è utile un passo indietro, riepilogando, brevemente, il percorso democratico che ha portato la donna a conquistare il diritto di voto (1946).
In Italia per quasi un secolo, l’elettorato passivo è stato appannaggio dei soli uomini. Dal 1848, secondo la legge elettorale varata da Carlo Alberto per il Regno di Sardegna, poteva votare chi aveva almeno 25 anni e pagava 40 lire di tasse all’anno; alla nascita del Regno d’Italia (1861), però, gli elettori erano solamente 500 mila su una popolazione di 25 milioni ( meno del 2%); era esclusa, infatti, la popolazione della campagne. Intanto, negli anni 70 alcune donne di orientamento “mazzinano” fondavano a Milano la “Lega promotrice degli interessi femminili”, capitanata da Anna Maria Mozzoni, la quale presentava nel 1877 la prima petizione per il voto alle donne, senza successo. Alla fine dell’800 con i Governi della sinistra storica, l’elettorato passivo (maschile) si estendeva sempre di più fino a comprendere chi avesse almeno 21 anni e fosse in possesso del requisito della 2° elementare. Ciò portò al suffragio universale maschile nel 1912, durante il Governo Giolitti, con possibilità di voto senza alcun requisito di censo e d’istruzione.
Ma il primo provvedimento legislativo che riconosce il diritto di elettorato attivo e passivo alle donne arriva soltanto con il decreto legislativo n. 74 del 10 marzo 1946; le prime elezioni veramente a suffragio universale furono, quindi, le amministrative del marzo 1946 e, successivamente, il referendum tra Repubblica e Monarchia del 2 giugno dello stesso anno. Nel 1946, duemila donne vennero elette nei Consigli comunali, che a loro volta portarono all’elezione nelle settimane successive di quattro Sindaci di sesso femminile tra i 5722 Comuni esistenti in Italia in quel periodo.
Ricordiamo che, per circa 45 anni, fino appunto ai primi anni ’90, il Sindaco veniva eletto dai Consiglieri Comunali, che a loro volta entravano nella massima assise cittadina mediante un sistema che prevedeva più preferenze. Per quanto riguarda Martina Franca, la legge consentiva ai martinesi di votare la lista preferita ed esprimere fino a quattro preferenze, sotto forma di numero; infatti, per ogni candidato di ciascuna lista veniva assegnato un numero da scrivere accanto al simbolo di partito che veniva crociato.
Nella Democrazia Cristiana, ciascun “big” o capo-corrente si faceva carico di abbinarsi ad altre 2-3 persone in modo da formare le cosiddette “quartine”; solitamente il Partito Comunista e il Partito Socialista prevedeva un giovane, una donna e un rappresentante del mondo operaio/sindacale. A contare erano soprattutto i partiti ma anche il peso specifico dei singoli consiglieri. Questi ultimi, una volta eletti, diventavano i detentori del potere di decretare vita e morte degli esecutivi. Il sindaco era semplicemente un “primus inter partes”, debole nei confronti della coalizione che lo sosteneva con un mandato operativo farraginoso e indefinito.
La percentuale di donne elette in Consiglio comunale si è mantenuta bassa anche con la legge 81/1993, che prevedeva due tipi di elezione: quella diretta del Sindaco, per il quale è necessario barrare il nominativo preferito già scritto sulla scheda e un’unica preferenza per il Consigliere comunale. Il Sindaco diviene la figura centrale dell’Amministrazione con potere di nomina e revoca degli Assessori, ruolo divenuto incompatibile con quello dei Consiglieri comunali. La legge ne divide i compiti, in particolar modo il TUEL (Testo Unico degli Enti Locali) approvato nel 2000 affida al Consiglio comunale, l’approvazione del bilancio e le funzioni di indirizzo e controllo dell’ente.
Il TUEL fissa all’ art. 6 (D.lgs 267/2000) la possibilità per gli statuti comunali e provinciali di regolamentare le pari opportunità tra uomo e donna, per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e in tutti gli organi locali elettivi del comune, della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti. Nonostante questo articolo, non perentorio, la presenza delle donne negli organi eletti è rimasta sempre esigua. Al fine di promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli Enti locali il legislatore ha approvato la legge 23 novembre 2012 n. 215.
Due le modifiche principali che hanno investito gli 8003 comuni d’Italia e che riguarderanno anche Martina Franca alle prossime elezioni amministrative dell’11 giugno.
La prima riguarda le liste dei candidati: nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi; in caso di mancato rispetto delle disposizioni, la commissione elettorale interviene riducendo la lista elettorale, in particolare cancellando i nomi dei candidati appartenenti al genere più rappresentato, procedendo dall’ultimo della lista.
La seconda riguarda la preferenza: l’elettore può esprimere uno o due voti di preferenza, scrivendo il cognome di non più di due candidati compresi nella lista votata se l’elezione riguarda un comune con popolazione superiore a 15 mila abitanti. Quando si esprimono due preferenze, esse devono riguardare candidati di sesso diverso presenti nella stessa lista, pena l’annullamento della seconda preferenza.